di Daniela Di Pinto
Nella sua drammaticità Pieces of woman invita a contattare un dolore profondo. Una grande ferita a cui molte famiglie sono costrette realmente a sopravvivere. Nel film una mamma, supportata dal compagno, decide di partorire in casa ma il loro bambino muore subito dopo la nascita. La perdita rade al suolo tutte le possibilità di immaginazione. La morte allontana, separa, apre conflitti. In primo piano la madre, Martha, (interpretata da Vanessa Kirby) e il suo corpo che deve fare i conti con quei cambiamenti inevitabili che subentrano dopo il parto. Una donna che all’inizio sceglie di rimanere da sola senza nessun bambino da accudire. Anche il compagno, non trovando spazio per comunicare ed esprimere la sua fragilità, sprofonda in una grande disperazione. La mamma di Martha (premio Oscar Ellen Burstyn) si difende cercando giustizia.
Il regista Kornél Mondruczò insieme alla sua ex moglie, la sceneggiatrice del film Kata Wéber, mette coraggiosamente in scena il suo dramma, una storia vera che parla di morte e di perdite. Allontanamento, separazione, lutto. Il tempo avanza ed è contrassegnato da dei fermi immagine in cui le date sono sovraimpresse su riprese statiche di grandi ponti. Ponti enormi che per la maggior parte del tempo del film sono aperti, si vede l’acqua che scorre, come il dolore che continua ad esistere, ma sono ponti che non collegano le sponde. Non connettono gli sguardi dei protagonisti che si rinchiudono profondamente nelle loro sofferenze. All’inizio non è possibile sfiorare il dolore così come non è pensabile la morte. Il dolore ha bisogno di essere visto, necessita di parole e di gesti. Tra una scena e l’altra, il dolore può scorrere, Martha ha mangiato numerose mele perché le ricordavano il profumo della sua bambina. Martha ha conservato e curato alcuni semi che sono germogliati, molto lentamente.