Il tempo di non aspettare

di Nicola Adile Diego Vacca

Esistono persone che, per i più svariati motivi, sono costrette a lasciare la propria terra natia e a cercare la propria meta in diversi luoghi del mondo.
C’è chi cambia città e chi cambia continente, chi lo fa perché scappa da una guerra e chi perché crede in un sogno.
Noi viviamo in una parte del mondo che si presta a essere sia meta che punto di partenza, perché se è vero che oggi più che mai siamo chiamati all’accoglienza, altrettanto vero è che mai si è fermato l’emigrare dei nostri figli e coetanei. Già in sé questa duplice veste ci richiama a una doverosa consapevolezza, che però non sempre dimostriamo saper concretizzare: come ogni anno sono arrivati nelle nostre città bambine e bambini, ragazze e ragazzi, quando ormai le iscrizioni scolastiche erano chiuse; ogni anno assistiamo al percorso di questi desiderosi studenti trasformarsi in un limbo, in un dedalo per i tanti operatori del settore, la Scuola in primis, che cercano di trovare la via giusta per far bene le cose; ogni anno il cammino è arduo e non sempre, a quella meta, si riesce a giungere in tempo.
La mancata consapevolezza che dimostriamo si incarna quindi nel dare a questi giovani che si affacciano al nostro mondo, a regole nuove, a codici etici e comportamentali nuovi… dare loro l’idea di essere da subito un corpo estraneo, da dover somatizzare, da dover allocare; dimostrando, peraltro, spesso al contempo di trattare anche i nostri insegnanti come un corpo estraneo. Riuscire a dare a questi giovani un progetto di continuità sarebbe il primo enorme segnale di integrazione cercata, perché oltre al diritto allo studio è fondamentale il diritto ad essere seguiti nel tempo; accompagnati nel constatare ed evidenziare i progressi, correggere eventuali défaillances, essere la memoria storica di quel bambino o di quella bambina che per natura tenderà inizialmente a dimenticare. Salvo ricordare tutto poi. Questo vale per tutti i nostri ragazzi, e la ricerca di integrazione nel sistema educativo nazionale potrebbe essere un reale stimolo di crescita e miglioramento dell’organizzazione e del tessuto sociale. Viviamo circondati da una ricerca di una condizione media che porta irrimediabilmente alla mediocrità, alla disaffezione, a rapporti rapidi ma non per questo maggiormente intensi. La Scuola, ancor più oggi considerata la grande fatica dimostrata dall’istituto Famiglia nell’adeguarsi ai tempi, ha il potere/dovere di essere il metro della nostra crescita, di accoglierci a braccia aperte – e con semplicità per gli operatori, la cui volontà e dedizione è dimostrata ogni giorno -, di vederci crescere. Abbiamo bisogno di stabilità per gli insegnanti, occorre dare loro la possibilità di ricordarci quanto si è cresciuti dall’anno prima, di percorsi educativi che trovino anche nel tempo la loro ragione: l’empatia e l’attenzione, se declinati nel tempo, creano infatti un’alchimia che va oltre la valutazione… e si chiama Comprensione.

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