di Lucia Edera
“È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”.
Antoine de Sant-Exupéry, Le Petit Prince
La scuola italiana è stata messa a dura prova in questi ultimi mesi dall’emergenza sanitaria, e la scelta di passare a una forma di didattica a distanza ha travolto tutti, dirigenti, insegnanti, studenti e genitori, come uno tsunami. A pochi giorni dalla fine di questo memorabile anno scolastico, le riflessioni sono molteplici ed emergono sotto tante prospettive. Ne danno dimostrazione anche i diversi dibattiti sui social e i movimenti educativi emersi, tra i tanti il gruppo facebook “Gli spazi della scuola”, un vero laboratorio di idee sul fare scuola ed educazione. Le dinamiche relazionali di quest’esperimento sociale che la DAD ha rappresentato le ho vissute in prima persona in una triplice veste: come docente di sostegno in una scuola secondaria di secondo grado, come genitore di un figlio alla scuola primaria e di un’altra alla scuola dell’infanzia.
Così ho passato in rassegna ore e ore di videoconferenze su Meet, di webinar di aggiornamento, videochiamate, audio di fiabe, tutorial di creazioni homemade, innumerevoli foto e messaggi scritti e vocali, che ci hanno attaccato letteralmente agli schermi in una eterna “connessione” h24.
Molti docenti, in questo modo, hanno garantito il diritto costituzionale allo studio e all’istruzione mantenendo viva la scuola pubblica, fondamento dell’uguaglianza e della democrazia del nostro Paese. E in questo tentativo disperato e ossessivo di catturare l’interesse degli alunni, la didattica a distanza ha funzionato solo quando è stata capace di instaurare una relazione educativa e di apprendimento significativa, prendendosi cura dei bambini e dei ragazzi e ricercando un “insegnamento educativo”. La cura educativa sì è trasformata in un esserci sempre, nell’accogliere con empatia l’inadeguatezza di una madre davanti al tablet, nell’improvvisarsi artisti in un atelier di collage, nell’asciugare le lacrime di un bambino annoiato e nell’abbraccio di un’emoticon inventato per l’emergenza.
Con i miei alunni adolescenti le distanze fisiche, createsi con la DAD, hanno permesso di sviluppare un’inaspettata solidarietà e una vicinanza umana, che hanno smosso in loro una rinnovata creatività, nonché l’impegno per raggiungere virtualmente il proprio compagno con neurodiversità e la sua famiglia con enorme delicatezza.
Bibliografia:
Morin Edgar (2000), La testa ben fatta, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Raimo Christian(2017), Tutti i banchi sono uguali, Torino, Einaudi.
Bernardini Albino(1968), Il maestro di Pietralata, Firenze, La Nuova Italia, De Carli Sara, http://www.vita.it/it/article/2020/06/05/ma-la-scuola-non-puo-ignorare-il-non-detto-del-plexiglass/155738/