L’insegnamento di Rut: dal rapporto di affidamento tra donne alla rinascita

di Antonietta Podda

C’è una storia incredibile e molto antica. E’ quella contenuta nel Libro di Rut che rivela  un rapporto speciale di affidamento basato sulla “fiducia”, sull’alleanza tra due donne. 
Il libro racconta che al tempo dei Giudici, a causa di una carestia, un uomo insieme a sua moglie Noemi e ai suoi due figli maschi, lasciò Betlemme e si trasferì nella regione di Moab. Qui i due figli si sposarono con due donne, Rut e Orpa. L’uomo morì. Noemi rimase vedova. Dopo dieci anni dalla morte del marito, Noemi perse anche i due figli. Decise allora di ritornare nel proprio paese divenuto nuovamente fiorente. In lacrime le due nuore vedove cercarono in tutti i modi di convincerla a rimanere con loro. Tuttavia, Noemi si mostrò decisa e determinata a partire. Congedò le due donne affinché non si sentissero costrette a seguirla. Orpa salutò Noemi con un bacio decidendo di rimanere nel suo paese d’origine. Rut invece decise di non abbandonare la suocera, ma di seguirla. Da questo speciale rapporto di affidamento, fatto di consigli e cura reciproca l’una dell’altra, seguendo passo passo le istruzioni di Noemi, Rut divenne moglie di un uomo buono e ricco e madre del suo erede. Alla sua nascita, Noemi alzò il bambino e se lo pose in grembo. Le vicine si congratularono con lei e le dissero: “il Signore sia benedetto, avrai chi ti nutrirà nella vecchiaia, per merito di tua nuora che ti ama e che per te vale più di sette figli maschi”. (Rut 4,13-17). La storia di Rut e Noemi insegna a ritrovare la fiducia nel rapporto tra donne, sole e smarrite.
“Smarrite” come le tante donne che da un giorno all’altro, soprattutto nel periodo di emergenza sanitaria, fatto di chiusure e restrizioni, si sono ritrovate “sole” e “straniere” in una terra mutata.  C’è chi ha perso un affetto, e chi ha perso il lavoro. 
Analizzando l’impatto della pandemia sulla vita delle donne, dall’ultimo rapporto Istat emerge che tra le categorie più colpite nell’ambito lavorativo vi sono proprio le donne. Nel 2020 le donne che hanno perso il lavoro sono infatti il doppio rispetto agli uomini. L’epidemia ha inoltre aggravato situazioni di povertà e rinunce a carico delle donne: secondo l’indagine commissionata ad Ipsos da Weworld «Donna e cura in tempo di Covid 19»  una donna su due ha rinunciato ad un progetto.
Ma c’è di peggio. Le restrizioni hanno portato a un aumento della violenza maschile contro le donne e ridotto l’accesso ai servizi di supporto. Anche l’accesso all’assistenza sanitaria è stato compromesso. 
Davanti a un reale peggioramento delle condizioni di vita delle donne, il Parlamento Europeo  propone un approccio sensibile al genere, destinando ad esempio i fondi del Next Generation EU a progetti che le valorizzino: obiettivo strategico riconosciuto “come un investimento e non come un atto di giustizia sociale”: perché “investire nelle donne significa promuovere lavoro, benessere e ovviamente equità sociale” come ha dichiarato la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti durante un webinar ‘No Women No Panel – Senza donne non se ne parla’“. 
Dentro questo stato di smarrimento, tuttavia non bastano i soli finanziamenti per supportare le donne, serve un cambio di passo: serve ricercare nuove forme di governo e di scambio, basate proprio sulla pratica dell’affidamento tra donne, prassi politica del pensiero della differenza, concepita dal gruppo della Libreria delle donne di Milano in “Non credere di avere dei diritti” e portata avanti dalla Comunità filosofica femminile Diotima all’interno dell’Università di Verona. Si tratta dell’af-fidarsi di una donna all’altra per superare gli ostacoli che inevitabilmente si incontrano in una società ancora profondamente maschile e partendo dal presupposto che per cambiare la propria vita sia necessario cambiare quella delle altre donne. 
Perché senza la pratica dell’affidamento non ci può essere una politica trasformativa. Ma questa pratica, per essere efficace, merita di essere ripresa e socializzata ampiamente. È sicuramente un passaggio non facile e non privo di ostacoli, in quanto riconoscere l’altra significa accettare anche il possibile conflitto tra donne e viverlo nel migliore dei modi non come abbandono o come minaccia. Significa inoltre fare dell’”invidia un sentimento producente: costruire il meglio dell’altra” come ha scritto Alessandra Bocchetti (tra le fondatrici del Centro Virginia Woolf di Roma). 
Esattamente come accade tra Elena e Lila, le due protagoniste e amiche del romanzo di Elena Ferrante L’Amica Geniale. 
Perché per pensare e agire in grande è necessario creare profonde relazioni tra donne e tra comunità di donne così,  come insegna la storia di Noemi e Rut che attraverso la pratica dell’affidamento fanno rivivere l’antico rapporto: quello simbolico tra madre e figlia, alla ricerca di una genealogia femminile al fine di riconoscere l’apporto di sapere di altre donne che sono venute prima. 
Solo e grazie al rapporto di affidamento può iniziare la nuova vita, una ri-nascita, la sostanza di una politica nuova.

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