M.Ross “Captain Fantastic”

di Angela Bruschi

«Lo scopo di un’educazione liberale è quello di trasmettere il senso del valore delle cose che non fanno parte delle forme di dominio, contribuire a creare dei cittadini equilibrati di una comunità libera, e attraverso la combinazione di questa appartenenza alla comunità con la creatività individuale mettere gli uomini in condizione di conferire alla vita umana quello splendore che, come un limitato numero di persone hanno dimostrato, la vita può raggiungere.» (Noam Chomsky)

Quante volte avremmo voluto che i nostri figli crescessero liberi dalle sovrastrutture imposte dalla società? Il regista Matt Ross, nel 2016, ci regala un film che fa riflettere sulla figura del padre e sulla sua idea di educazione dei figli. In Captain Fantastic, Ben Cash (interpretato egregiamente da Viggo Mortensen) e sua moglie Leslie hanno fatto una. scelta: far crescere i loro figli in una comune familiare lontano dalla civiltà, educandoli personalmente nelle arti della guerra, della fisica quantistica e della grande letteratura. Il loro nume tutelare è Noam Chomsky, il filosofo e linguista anarchico il cui compleanno viene da loro festeggiato al posto del Natale («Meglio lui di un elfo che non esiste», dice papà Ben); è marcatissima, dunque, l’impronta anti-sistema che ne ispira ogni azione. L’intento primario del capofamiglia è quello di sottrarre la sua prole a tutte le forme di propaganda e asservimento imposte dal “patto sociale”.
Captain Fantastic si apre con la ripresa aerea di una lussureggiante foresta. Da lì la telecamera si sposta su un ragazzo di non più di venti anni che, con il corpo imbrattato di vernice nera, uccide un cervo e ne mangia il cuore, mentre il padre e i cinque fratelli celebrano l’atto come l’ingresso del giovane nell’età adulta. La scena lascia spaesati. A poco a poco si scopre che i ragazzi sono tutti potenziali geni, capaci di parlare sei lingue, discutere di Nabokov come di politica americana. Non hanno la televisione e non hanno contatti con i loro coetanei.
Dopo un lungo preambolo, Ben riceve telefonicamente la notizia che sua moglie è morta, probabilmente suicida. Tutta la famiglia decide allora di intraprendere, insieme, un viaggio attraverso gli Stati Uniti verso il luogo dove si terrà il funerale. La svolta si ha quando inizia il confronto con una realtà che è loro estranea, come accade in tanta letteratura cinematografica. Il film segue il modello del cinema indie che tratta della fatica della socializzazione per chi è o si sente diverso, prosegue seguendo il genere on the road e si sviluppa infine nella tradizione del coming of age, il genere di formazione. Ma l’aspetto più interessante è quello che il regista Ross pone al centro dell’attenzione: il problema dell’educazione. Nel suo mondo, Ben amministra da sé la sua vita, in antitesi alla società dominante nella quale vive il cognato Harper, dove la vita deve seguire il modello dell’american way of life. Ma quando il grande capitano prende coscienza che nella sua scelta radicale, anche se in buona fede, l’educazione vera ha bisogno di abbracciare tutti i fattori della realtà, capisce che l’esperienza dei rapporti umani, con lo scambio con il “diverso da sé” che ne consegue, è anch’esso fondamentale. Verso il finale ci sarà questo cambiamento nella quotidianità che lascia intendere da una parte la stabilità della disciplina, dall’altra il miglioramento di alcune condizioni di vita: l’esperienza ha portato i Cash ad avvicinarsi alla “civiltà” e ad avviare una prima separazione dalla famiglia, senza rinunciare alla quotidianità vissuta nella natura.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *