Media e migrazioni: educare all’uso delle parole contro l’odio on line

di Antonietta Podda



















«Mi piace chi sceglie bene le parole da non dire»
Alda Merini




“Nigeriano libero di accoltellare/ma si vuole schedare chi vota Lega” (La Verità del 23.09.19) – Invasi e contenti. Truffa sull’immigrazione. (Il Giornale 12.09.19), “Ecco la malaria degli immigrati” (Il Tempo 6.09.17), “Attacco a Parigi/Bastardi Islamici” (Libero 14.11.15): sono solo alcuni dei tanti titoli pubblicati nelle prime pagine di diversi giornali nazionali, che qui riportiamo a titolo esemplificativo per mostrare l’azione di falsificazione della realtà che caratterizza la narrazione sulle migrazioni. Come denuncia l’Associazione Carta di Roma, che più di tutte studia l’informazione dei media in ambito migratorio: «Abbiamo sentito parlare di invasione di fronte a un calo di oltre l’80 percento di arrivi, di aumento dei reati di fronte ai dati del Viminale che danno in calo tutti i reati, di epidemie di malattie terribili che non si sono mai verificate, di crociere di fronte ai disperati viaggi su imbarcazioni di cartone, di pacchia di fronte a persone sopravvissute a fame e guerra che spesso diventano schiave nei campi”. Questa continua opera di falsificazione da parte di alcuni media non solo mente ai lettori, ma attraverso l’uso di parole disumanizzanti e discriminatorie produce conseguenze evidenti. Le parole, infatti, sono pietre, per dirla con Carlo Levi, ma possono trasformarsi anche in pallottole: come quelle che hanno ucciso Soumaila Sacko, bracciante e attivista dell’Unione Sindacale di Base, che difendeva i diritti dei braccianti agricoli sfruttati. O le pallottole che Luca Traini sparò all’ impazzata contro persone che incontrò per strada e che decise di colpire in base al colore della loro pelle. È stato condannato a 12 anni per strage aggravata dall’odio razziale. Seguendo incondizionatamente il linguaggio politico, spesso caratterizzato da toni ostili e stigmatizzanti nei confronti dei migranti, le notizie false prodotte ad hoc vengono amplificate sui social media e diventano nutrimento per l’odio on line. Un fenomeno, quello della diffusione dei discorsi di odio, che sta assumendo contorni sempre più preoccupanti, tali da allarmare l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che nel suo ultimo Rapporto evidenzia come nel 2018 ci sia stato un incremento dei discorsi razzisti basati su stereotipi negativi contro i migranti, i musulmani, le persone di origine africana, le comunità rom, sinti e caminanti. È necessario, pertanto, trovare le risposte adeguate per arginare questo fenomeno, che vede tra i vulnerabili i soggetti incapaci e poco attrezzati a discernere tra notizie vere e false. Ma sono soprattutto i giovani a essere maggiormente esposti, sia per il massiccio uso dei social, sia per la mancanza – e in alcuni casi assenza – di strumenti conoscitivi e culturali per individuare le notizie false, nonché prevenire e contrastare i discorsi d’odio. E allora come educare all’uso delle parole, alla lettura dei mezzi di comunicazione e dei social media?
Proprio perché le parole hanno la capacità di trasformare la realtà e di cambiare la percezione dell’ambiente che ci circonda, come anche il clima d’opinione, è sempre più importante usarle correttamente e assumere dei comportamenti esemplari. Ad accorrere in nostro aiuto, in questo senso, è lo strumento della media education. Tra le iniziative più interessanti messe in campo che utilizzano questo approccio è da annoverare “#SilenceHate”, un progetto portato avanti da Cospe e Zaffiria e che ha prodotto, oltre al manuale e al portale educativo www.silencehate.it, corsi di formazione per docenti e laboratori nelle scuole secondarie in diverse regioni italiane. Altra iniziativa per contrastare l’ostilità dei linguaggi nei media, in particolare in Rete, è Parole O_Stili, la prima community on line, nonché progetto collettivo, nata per far riflettere sulla non-neutralità delle parole e sull’importanza di sceglierle con cura.
In ambito europeo, Arci promuove il progetto “React” per l’alfabetizzazione mediatica degli educatori e dei giovani, e lo sviluppo di una campagna di contro-narrazione. Queste sono solo alcune delle tante iniziative attuate e che si stanno ancora realizzando in Italia – e non solo – per contrastare i discorsi di odio on line. Tuttavia, ciò che emerge da una prima analisi di queste esperienze è sicuramente la mancanza di un coordinamento tra i diversi attori che operano nella lotta contro l’hate speech a livello istituzionale, mediatico e della società civile, come anche riportato nel rapporto dell’Associazione Lunaria “Words are stones”. Questa frammentazione, secondo Lunaria, rappresenta una delle “sfide principali che l’Italia dovrà superare nei prossimi anni per raggiungere risultati significativi nel riorientamento del dibattito pubblico verso un dialogo più civile e libero dalle discriminazioni”. Ciò gioverebbe alla crescita di un’opinione pubblica che, per dirla con Joseph Pulitzer, se “bene informata è la nostra corte suprema.


Bibliografia:

www.cartadiroma.org
www.unhcr.it
www.silencehate.it
www.arci.it/campagna/react
http://www.cronachediordinariorazzismo.org/wp-content/uploads/0_IT_WAS_REPORT_17luglio2019.pdf

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