J. M. Coetzee “Infanzia. Scene di vita di provincia”

Einaudi
di Valeria Mammarella


Una giovinezza che corre veloce, di pari passo con la Storia che incede incontrastata e brutale strappando i ragazzi dai loro giochi ingenui, per catapultarli negli anni della realtà: l’età adulta. E la politica, la società, il sistema scolastico accelerano ancora di più questo salto già brusco, contribuendo ad accorciare quel periodo di vita fondamentale per educarsi. Nell’autobiografia della sua infanzia, Coetzee ripercorre in terza persona gli anni del secondo dopoguerra, trascorsi prima in un centro residenziale alla periferia di Worcester, poi a Città del Capo, Sudafrica, in pieno apartheid, osservato dai giovani occhi di un afrikaner ma non troppo, simpatizzante inglese. Sullo sfondo di quel capitolo storico così instabile e segregazionista, si delinea una personalità dominata dall’ambivalenza su più fronti: nella relazione di attaccamento morboso e incondizionato verso la madre, contrapposto a un rifiuto e a una rabbia esagerati nei confronti del proprio padre; negli interessi e negli svaghi prediletti, che tutto d’un tratto inizia a percepire come inutili perdite di tempo; nel contesto scolastico, che ritiene inadatto ad appagare la sua sete di conoscenza, nonostante la pretesa di essere messo costantemente alla prova. A casa belva incontenibile, a scuola timido agnellino.
Ma quanto incide anche il contesto familiare ed educativo sullo sviluppo della persona? Figlio di una madre, Victoria, altrettanto contraddittoria, che lotta per la propria indipendenza ma si arrende con facilità all’ingerenza maschile, e che si fa sostenitrice dell’inserimento precoce dei bambini nel mondo del lavoro, nonostante sia un’insegnante. Completano il quadro un padre manesco e irascibile, dedito all’alcol, e un fratello minore per lui quasi inesistente, marginale ai fini della storia.
Tante altre tematiche si inseriscono a una a una nella vita del piccolo Coetzee, dalla religione alla sessualità, dal senso di colpa all’inadeguatezza, dall’amore alla morte; tutte vissute con un realismo spropositato per l’età. Addirittura l’amore acquisisce un’accezione disfattista, perché “amare è essere in una gabbia, correre avanti e indietro come un povero babbuino disorientato”.
E forse, alla fine della corsa, a risentirne maggiormente è proprio l’educazione, che finisce per essere accantonata, dimenticata da tutti, come i vecchi libri della zia Annie.

6 commenti

  1. Ottima recensione! Impeccabile come al solito.

  2. Bella recensione e altrettanto bell’invito alla lettura del testo.

  3. Recensione molto interessante che invita a scoprire la bellezza del libro.

  4. Davvero una gran bella recensione! Tanta curiosità di leggerlo.

  5. Gianni Quattrocchi

    Leggendo la “recensione” hai l’impressione di essere fra i personaggi e di vedere e vivere in prima persona lo svolgersi della storia e di provare le emozioni in prima persona.

    Complimenti Valeria Brava

  6. Mi hai molto incuriosito, recensione bellissima

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